Cos’è un sintomo?

Una voce fraintesa

Etimologicamente, sintomo significa cadere insieme.  Nel gergo comune essere colti da un sintomo può voler dire farsi più agitati, ansiosi, depressi, oppure, impulsivi, imprudenti, irrequieti. 

Freud, per primo, ipotizzò che i sintomi fossero espressioni di un malessere, il risultato di una lotta interna e inconsapevole.  Egli riteneva che la dinamica psichica si componesse di forze diverse in opposizione tra di loro (istinto e morale, impulsività e regole, conscio e inconscio) e in grado di generare, in certe occasioni, malesseri tanto fisici quanto mentali (Freud, 1923; 1932).  È proprio quando il nostro equilibrio cambia e viene sovvertito che è possibile che emergano delle reazioni spiacevoli, delle attivazioni destabilizzanti, dei sintomi. 

Quindi cosa sono i sintomi?

Potremmo definire un sintomo come l’emersione di un’attivazione psicofisiologica, causata da un vissuto stressante o traumatico.  Tuttavia, questa relazione – stress-sintomo – può non essere così chiara e lineare.  Infatti, un sintomo rappresenta uno stato di sofferenza e malessere che però potrebbe aver subito dei processi di trasformazione nel corso della sua emersione, ovvero, nella manifestazione e nell’espressione di quella stessa sofferenza.  Difatti, una sintomatologia emerge nel momento in cui le nostre impalcature mentali, cioè le nostre difese psicologiche, falliscono nel gestire un avvenimento stressante, tanto da destabilizzare il nostro equilibrio interiore e influenzare negativamente il nostro modo di vivere (Lingiardi e Gazzillo, 2014).

Perciò, i sintomi sono l’espressione di una sofferenza che non ha altro modo di farsi sentire, se non attraverso queste manifestazioni.  Comunemente, essere colti da un sintomo può voler dire non sentirsi bene, essere stanchi, preoccupati, agitati, irascibili, oppure sentirsi estraniati, vuoti, apatici, bloccati, o anche, sentirsi fisicamente male o in balia degli avvenimenti.  Quindi, l’emergere di una sofferenza può manifestarsi in varie forme, tuttavia, il sintomo è personale e personalizzato (Rogers, 1951, 1983).  In altre parole, in persone diverse uno stesso avvenimento o un vissuto simile produrrà sentimenti, comportamenti, pensieri e credenze differenti.

Va fatto un importante distinguo.  Non tutte le manifestazioni psicofisiche sono sintomi.  Infatti, vanno distinte le normali attivazioni psicofisiologiche da quelle sintomatologiche. 

Entrambe queste attivazioni sono personali e soggettive e influenzano tanto i vissuti quanto gli agiti, tuttavia, le prime sono contestuali e circoscritte nel tempo, le altre sono generalizzate, perdurano nel tempo, toccano delle aree di funzionamento (es. sfera personale e familiare, socialità e lavoro…) invalidandole e possono cronicizzare. 

Sentirsi toccati o shockati da una situazione o un avvenimento, sperimentare uno stato di bisogno o necessità, vivere un momento di angoscia, impotenza, fallimento o rifiuto, sentirsi tristi, arrabbiati o impauriti, sono tutte reazioni normali e umane.  Tuttavia, se queste attivazioni perdurano, si ripetono, si trasformano, generalizzano e decontestualizzano, potrebbe essersi radicata una reazione sintomatica. 

Infatti, essere tristi o disperati per la perdita di un caro è fisiologico, diverso è non elaborare il lutto e chiudersi in se stessi.  È normale avere forti tensione o irrequietezza per via di esami, colloqui o incontri importanti, fino anche a stare male fisicamente; differente è sentirsi terrorizzati e bloccati, sentirsi male in ognuna di queste occasioni, essere fortemente in ansia ed evitare ognuna di queste situazioni.  È umano sentirsi come sul filo di un rasoio per eventi importanti e celebrazioni, come lauree, matrimonio o nascite, per situazioni nuove o ignote, come l’ingresso a scuola, un trasferimento, un cambio di lavoro o una convivenza; diverso è sentirsi bloccati, immobili e non riuscire a muoversi, sperimentare e a viversi questi nuovi avvenimenti.

Un fatto curioso sul sintomo è il suo replicarsi, come se la nostra parte sintomatica non volesse guarire.  Freud (1914, 1920) definisce e rielabora la coazione a ripetere: la tendenza inconsapevole a riprodurre o a ritrovarsi in situazioni dolorose e destabilizzanti (come in esperienze passate), senza rendersi conto del proprio ruolo (attivo) nel determinarle.  Questo atteggiamento psichico può essere rappresentato dall’immobilismo della persona che vive, agisce e con cui reagisce a certe situazioni in maniera sempre uguale nel tempo, quasi stereotipica.  O anche, da tutti quegli atteggiamenti, comportamenti e credenze che portano la persona a bloccarsi o ad autosabotarsi; oppure quel genere di agiti che fermano il progresso del cambiamento, sostenendo l’immobilismo iniziale, fino anche ad intralciare, ostacolare o bloccare un processo di cura o crescita.

Alcune volte, quindi, potrebbe sembrare come se la nostra parte sintomatica mostrasse la volontà di non cambiare mantenendo attivo lo stato di sofferenza, o come se il sintomo abbia vita propria e tenti di sopravvivere, radicandosi in noi, accrescendo la propria sfera di influenza sul nostro carattere, insinuandosi nel nostro modo d’essere e costellandosi di pensieri, comportamenti, sentimenti e meccanismi difensivi propri, che danneggiano il nostro benessere.

Tuttavia, il sintomo potrebbe anche essere visto come il coperchio di un vaso, come un contenitore, in quanto espressione e sfogo di un vissuto doloroso più profondo.  Quindi, il sintomo, sì danneggia il nostro benessere, ma ci dà anche modo di interfacciarci al nostro nucleo di sofferenza in una maniera più sicura e controllata.

Riferimenti Bibliografici

Freud, S. (1975). Per la storia del movimento psicoanalitico (Vol. 7). Bollati Boringhieriristampa del 1914.

Freud, S. (2007). Al di là del principio del piacere (Vol. 73). Pearson Italia Spa – ristampa del 1920.

Freud, S. (2010). L'Io e l'Es. Inibizione, sintomo e angoscia (Vol. 121). Newton Compton Editori – ristampa del 1923.

Freud, S. (2010). Introduzione alla psicoanalisi (Vol. 123). Newton Compton Editori – ristampa del 1932.

Lingiardi, V. e Gazzillo, F. (2014). La personalità e i suoi disturbi. Valutazione clinica e diagnosi al servizio del trattamento. Raffaello Cortina.

Rogers, C. (1951). Terapia centrata sul cliente: pratica attuale, implicazioni e teoria. Londra: Conestabile.

Rogers, C. R. (1983). Un modo di essere: i più recenti pensieri dell'autore su una concezione di vita centrata-sulla-persona. Martinelli.

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