Ansia
Chiunque ha detto o sentito dire almeno una volta nella vita “ho l’ansia”.
Ma che cos’è l’ansia?
L’ansia è un senso di apprensione che anticipa un problema o una minaccia, è un sentimento che afferisce alla sfera della paura, ma che si distingue da quest’ultima proprio per il suo aspetto anticipatorio. Infatti, mentre la paura riguarda l’immediato, un problema o una minaccia reale e presente, l’ansia ci proietta verso il futuro e anticipa ciò che ancora non è in essere.
Sia la paura sia l’ansia implicano un aumento dell’arousal, ovvero lo stato di attivazione gestito dal sistema nervoso simpatico, che può innescare un senso di irrequietezza e nervosismo, passando attraverso sensazioni quali sudorazione, tremori, batticuore e bisogno di fuggire, fino a sfociare nel panico o anche nello svenimento.
Ma l’ansia è sempre negativa?
Come ogni emozione e sentimento, paura e ansia hanno un valore adattivo. Infatti, sono fondamentali nel monitorare l’ambiente circostante e nell’attivare le risposte di “lotta o fuga”, producendo rapidi cambiamenti nell’attività del sistema nervoso. In particolare, l’ansia ci viene in soccorso aiutandoci ad essere reattivi nell’affrontare determinati eventi, ad evitare situazioni potenzialmente pericolose o dannose e a identificare potenziali problemi o minacce prima che essi si presentino [20]. Inoltre, i giusti livelli di ansia – né troppo alta, ma neanche troppo bassa – possono influenzare positivamente le performance in svariati compiti o attività [2, 10, 33].
Tuttavia, quando le reazioni di ansia, paura e stress risultano eccessive, troppo rigide e opprimenti o se il sistema deputato a queste funzioni si attiva quando non è presente un’effettiva minaccia (presente o futura) risultano invalidanti e ciò potrebbe prescriversi come un disturbo d’ansia.
Ma quand’è che l’ansia risulta patologica?
Generalmente si fa diagnosi di disturbo d’ansia quando:
I sintomi interferiscono con le principali aree di funzionamento (come ad esempio il lavoro o le relazioni sociali) o causano un marcato disagio
I sintomi non sono causati da farmaci, sostanze o condizioni mediche
I sintomi si distinguono da quelli di altre diagnosi psichiatriche
Tuttavia, esistono disturbi d’ansia differenti tra loro. Infatti, il DSM-5 – l’attuale manuale diagnostico – distingue: disturbo d’ansia da separazione, mutismo selettivo, fobie specifiche, disturbo d’ansia sociale, disturbo di panico, agorafobia, disturbo d’ansia generalizzato. Perché sia possibile fare diagnosi di uno specifico disturbo d’ansia, oltre ad essere presenti le 3 condizioni precedentemente elencate, dovranno essere saturati determinati criteri, ognuno afferente e specifico per uno o l’altro disturbo di questa categoria.
La diagnosi di disturbo d’ansia risulta essere una delle più frequenti [18, 20] e implica un sostanziale abbassamento della qualità della vita [24]. Infatti, questa tipologia di diagnosi si associa ad un maggior rischio di malattie cardiovascolari e altre importanti condizioni mediche [26, 29], ad un aumento del rischio di ideazioni e tentativi suicidari, circa il doppio rispetto alla popolazione standard [27], a problematiche relazionali e affettive [34], a difficoltà sul di lavoro [1] e a gravose spese mediche, circa il doppio di una spesa media [28].
Ma cosa causa i disturbi d’ansia?
Con il tempo sono stati individuati numerosi fattori genetici che suggeriscono un’ereditabilità nello sviluppo dei disturbi d’ansia [15, 31]. Tuttavia, alcuni di questi fattori risultano associati ad una componente ansiosa più generale, mentre altri risultano essere un fattore di rischio specifico per uno o l’altro di questi disturbi [14, 17, 21].
Tuttavia, come spesso accade la risposta non è univoca e lineare. Infatti, nonostante esistano delle vulnerabilità ereditarie, questi geni devono attivarsi ed esprimersi e il rapporto con l’ambiente circostante risulta importante tanto quanto la genetica nella promozione di questi disturbi. Esperienze traumatiche, condizionamenti comportamentali, ipo- o iper-sensibilità e attività neurotrasmettitoriale, tratti di personalità e fattori cognitivi, sono alcuni tra i fattori di rischio che accrescono la probabilità di sviluppare disturbi d’ansia [9, 20, 21].
Anche fattori culturali, individuali e cognitivi intervengono nella definizione di questa tipologia di disturbi.
Ogni cultura è soggetta ai disturbi d’ansia, ma oggetti, situazioni e eventi su cui ricadono ansia e paura sono molto influenzati dall’ambiente e dalle attitudini culturali. Nonostante ciò, l’incidenza e le caratteristiche con cui i disturbi d’ansia si manifestano risultano simili tra le varie culture [19]. Tuttavia, l’atteggiamento nei confronti delle problematiche mentali, gli stressor ambientali, le caratteristiche familiari e le difficoltà socioeconomiche possono influenzarne la manifestazione [21]. Inoltre, un altro fattore socioculturale che sembra influenzare l’incidenza e la diagnosi dei disturbi d’ansia riguarda il genere: le donne mostrano una probabilità doppia (come minimo) di soffrire di disturbi d’ansia [11]. Infatti, le donne sembrano mostrare una maggior reattività psicologica allo stress ed essere soggette a determinati rischi sociali, ma potrebbero mostrare minor reticenza a parlare delle proprie problematiche e avere maggior propensione nel chiedere aiuto; mentre gli uomini potrebbero risultare maggiormente educati al controllo e alla gestione di alcune problematiche ed essendo soggetti a determinate pressioni sociali potrebbero affrontare maggiormente determinate paure, il che risulta essere un fattore protettivo nello sviluppo dei disturbi d’ansia [20, 25]. In altre parole, le differenze culturali, le problematiche e le sfide che caratterizzano un genere e l’altro – oltre ad aspetti genetici e fisiologici – potrebbero influenzare l’instaurarsi o meno di questo tipo di disturbi.
A livello individuale alcuni tratti di personalità e determinati processi di pensiero sembrano associarsi allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi d’ansia.
I tratti caratteriali di inibizione comportamentale (la tendenza ad agitarsi e a reagire emotivamente a stimoli nuovi) e il nevroticismo (la tendenza a reagire negativamente agli eventi) sembrano essere entrambi dei buoni predittore nell’instaurarsi dei disturbi d’ansia [4, 5, 11, 16].
Inoltre, la scarsa percezione di controllo sull’ambiente, l’ipervigilanza riguardo potenziali minacce e la sfiducia verso il futuro risultano essere tutti stili cognitivi che alimentano l’instaurarsi e il mantenersi dei disturbi d’ansia [20].
Spesso un disturbo d’ansia si sviluppa a seguito di esperienze negative che portano le persone a mettere in discussione il proprio senso di controllo sull’ambiente circostante e sulla propria vita [12, 22]. Infatti, eventi traumatici [15], stili genitoriali punitivi o oppressivi [7] e forme di abuso [6], risultano essere tutte esperienze fortemente connesse allo sviluppo di uno stile ansioso.
Inoltre, un setting mentale teso all’individuare minacce crea un “bias attentivo” (un rapido e involontario orientamento dell’attenzione su stimoli potenzialmente nocivi) ed è in grado di influenzare l’umore e creare tensione anche quando non è necessario [3, 23, 30, 32].
Un ultimo aspetto comune a chi mostra uno stile ansioso riguarda le convinzioni negative per il futuro. Infatti, chi soffre di disturbi d’ansia è convinto che accadrà qualcosa di negativo [8], portando la persona a mettere in atto comportamenti “protettivi”. Tuttavia, questi comportamenti di salvaguardia, pur aiutando le persone a gestire le proprie attivazioni ansiose le portano a confermare e a supportare l’utilità di queste modalità, consolidando l’idea essere vive solo grazie a queste forme di evitamento [20].
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